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[Deliberazione Consiglio Lombardia 8 novembre 2011] Approvata la legge lombarda sull’esibizione obbligatoria del crocifisso

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È stata approvata dal Consiglio regionale della Lombardia, e – nel momento in cui si scrive – attende di essere promulgata e pubblicata (anche nel sito ufficiale), la legge che rende obbligatoria l’esposizione del crocifisso nei locali regionali. In questo blog era stata data, qualche tempo fa, notizia dello stato dell’iter legis, ormai concluso.

In estrema sintesi, questo è il contenuto della legge: a) sono riconosciuti i “valori storico-culturali e sociali” delle “radici giudaico-cristiane della Lombardia; b) per rappresentare questo riconoscimento, è obbligatorio esporre il crocefisso nelle sale istituzionali e all’ingresso degli immobili regionali e in uso all’amministrazione regionale; c) tale obbligo incombe sull’amministrazione regionale, che impiegherà i 2.500 euro stanziati allo scopo.

Il riconoscimento delle radici giudaico-cristiane è posto in testa alla legge, all’art. 1, e ne rappresenta la motivazione e il principale criterio interpretativo. A sua volta, l’art. 1 fa riferimento all’art. 2, comma 4, lettera f), dello Statuto, il quale pone tra gli “elementi qualificativi della Regione” (così la rubrica) il dovere della stessa di perseguire, nell’ambito delle proprie competenze, “sulla base delle sue tradizioni cristiane e civili, il riconoscimento e la  valorizzazione delle identità storiche, culturali e linguistiche presenti sul territorio”. Peraltro, come si vedrà, è stata messa in dubbio la piena aderenza alla clausola statutaria del contenuto della legge.

A prima lettura, la legge sembra porre un obbligo:

—    generale: se ben si intende, il crocifisso sarà esibito in tutte le sale istituzionalmente deputate all’attività degli organi di governo della regione; nonché, quanto agli uffici amministrativi, all’ingresso degli stabili (non delle singole stanze) usati a qualsiasi titolo (es.: anche in locazione). Non è immediatamente chiaro se l’obbligo sussista anche per gli enti dipendenti, ma soggettivamente distinti dalla regione; né se, con il posizionamento “all’ingresso” di uno stabile, si possa o debba rendere il simbolo visibile anche dall’esterno;

—    inderogabile: per la formulazione letterale, per il riferimento esclusivo al crocifisso e per la dipendenza dell’esibizione dal riconoscimento delle “radici giudaico-cristiane”, la legge lombarda pare escludere sia soluzioni di “laicità per addizione” (es.: esibizione anche di altri simboli), sia soluzioni “bavaresi” (possibilità di soluzioni negoziate e amichevoli, nel caso che alcuno obietti alla presenza del crocifisso);

—    almeno implicitamente o indirettamente, sanzionato. Nel testo originario del progetto di legge, erano previste vere e proprie sanzioni amministrative per il caso di mancata esposizione: da 120 a 1200 euro (con aggiornamento triennale). Questa clausola è venuta meno durante l’esame consiliare. Ma poiché, per espressa previsione della legge come approvata, il servizio Demanio e patrimonio dell’amministrazione regionale deve provvedere all’esibizione dei crocifissi, dovrebbe sussistere la possibilità di sanzioni perlomeno disciplinari, o comunque di responsabilità dei preposti al servizio, in caso di omissioni. Inoltre, la legge non ammette che alcun dipendente regionale obietti all’esposizione del simbolo. Lo stesso discorso vale per chiunque debba accedere alle sale o agli immobili regionali al fine di esercitare un diritto, adempiere a un dovere o esercitare una pubblica funzione: in base alla legge, tutto ciò si potrà fare solo alla presenza del simbolo.

Come è noto, il tema dell’esibizione di simboli religiosi è stato esaminato nel merito più volte, in anni recenti, dai giudici amministrativi, dalla Cassazione e dalla Corte europea. Ancora si attende, invece, un pronunciamento nel merito della Corte costituzionale. Tutte le iniziative per ottenere la rimozione dei crocifissi da aule giudiziarie o scolastiche sono sinora fallite; ma le varie corti hanno inquadrato diversamente la fattispecie e i problemi che essa pone, adottando rationes decidendi non sempre facili da riconciliare tra loro.

Tra le posizioni espresse dalla giurisprudenza, la legge lombarda sembra avvicinarsi particolarmente alla nota posizione del Consiglio di Stato, secondo la quale, nonostante il significato religioso del crocifisso, non si può pensare a esso, quando è esposto in locali istituzionali (il Consiglio di Stato si riferiva, come è noto, alle aule scolastiche), come a una mera suppellettile, ma nemmeno come a un oggetto di culto. Piuttosto il crocifisso va inteso come “un simbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili” – vale a dire, dei “valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti” etc. – “che sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato” (Cons. St., sez. VI, 13 febbraio 2006, n. 556). Letta in questa chiave, l’esibizione del crocifisso è compatibile con la laicità dello Stato: anzi, la rappresenta.

Una diversa posizione è stata sostenuta dalle opposizioni – PD, IDV e SEL – in una pregiudiziale di costituzionalità presentata al Consiglio e da questa respinta. Le opposizioni hanno poi abbandonato l’aula, al momento del voto (il dibattito si può seguire, in registrazione, nel sito istituzionale del Consiglio).

In primo luogo, la pregiudiziale ha sollevato una questione di competenza. Non spetterebbe alla Regione disciplinare questioni confessionali, né formulare affermazioni sulle radici di valori e identità che certamente non sono puramente regionali. Nello Statuto, il riconoscimento delle tradizioni cristiane (ma anche “civili”) della Lombardia sarebbe poi bensì affermato, ma solo come premessa del riconoscimento e della valorizzazione delle identità storiche, culturali e linguistiche presenti sul territorio. In tal modo, secondo le opposizioni, lo Statuto si riferirebbe essenzialmente a politiche di sostegno delle identità, anche confessionali, espresse dalle libere forze sociali; non incoraggerebbe, invece, la diretta assunzione da parte della Regione di una o alcune di queste identità.

In secondo luogo, è stato posto un problema di rispetto del principio di laicità. Nel dibattito, è stata richiamata la nota Corte Cost. n. 334 del 1996 (in tema di formule di giuramento): “[q]ualunque atto di significato religioso, fosse pure il più doveroso dal punto di vista di una religione e delle sue istituzioni, rappresenta sempre per lo Stato esercizio della libertà dei propri cittadini: manifestazione di libertà che, come tale, non può essere oggetto di una sua prescrizione obbligante, indipendentemente dall’irrilevante circostanza che il suo contenuto sia conforme, estraneo o contrastante rispetto alla coscienza religiosa individuale”.

Nel testo della pregiudiziale, si ammette che il crocifisso può essere inteso come “segno universale di valori di tolleranza e di dialogo”; ma si afferma che ciò non può rendere il simbolo stesso avulso “da un orizzonte di fede”, nel quale si esprime “l’adesione a convincimenti profondi che non possono che essere oltre la legge (benché non contro la stessa) e offerti alla testimonianza individuale”.

Ribadito il significato religioso del simbolo, non si contesta il ruolo suo, e in generale degli atti con significato religioso, nello spazio pubblico. Dunque, la pregiudiziale non adotta uno stile di argomentazione “francese”: al contrario, prendendo nuovamente spunto dalla cit. sentenza n. 334, afferma il dovere della Regione – e di tutti i pubblici poteri – di riconoscere e sostenere l’esercizio della libertà, anche religiosa, e di adoperarsi per garantire le condizioni che favoriscano l’espansione della libertà, anche di religione, di tutti. La contestazione si appunta sul fatto che, in base alla proposta di legge poi approvata, la presenza del simbolo religioso nella sfera pubblica viene a dipendere non da atti comunque riconducibili alla libertà personale, individuale o comunitaria; bensì da una decisione politica autoritativa e inderogabile.

Infine, nella pregiudiziale, il riferimento alla “tutela simbolica”, proiettata dal simbolo religioso su chi acceda alle strutture regionali, costituisce un chiaro rinvio a Cass. S.U., 14 marzo 2011, n. 5924 (cd. caso Tosti). In particolare, il rinvio è ai passaggi in cui la Cassazione sottolinea che, nel caso concreto, al pubblico funzionario (magistrato) interessato non era stato “imposto di esercitare la giurisdizione sotto la tutela simbolica del crocifisso”, sicché non era stato messo in discussione “il suo diritto soggettivo di libertà religiosa e di opinione” (la Cassazione sembra poi suggerire che, se ciò fosse accaduto, avrebbero potuto porsi questioni differenti).

Le opposizioni hanno sollevato anche un problema politico. In particolare, l’iniziativa è parsa un’appropriazione e strumentalizzazione del crocifisso da parte della Lega Nord. Pure l’UDC, che ha votato il provvedimento, ha poi formulato alcune precisazioni in questo ordine di idee. In effetti, a quanto riferiscono i quotidiani, la Lega ha colto l’occasione per tentare di affiggere nell’aula consiliare non un crocifisso, ma ‘il suo’ crocifisso: dopo la votazione, il partito ha manifestato la volontà di donare al Consiglio regionale una replica del crocifisso che, si ritiene, sarebbe stato esposto sul Carroccio durante le battaglie della medievale Lega Lombarda.

Le questioni politiche sono rimesse alla valutazione di ciascun cittadino ed elettore. Invece, i problemi costituzionali è probabile che non tardino a pervenire a Palazzo della Consulta. A causa della legge lombarda, la Corte potrebbe quindi trovarsi a prendere la parola sul delicato tema che, nel 2004, non fu affrontato solo per la natura regolamentare delle fonti allora rilevanti.

Michele Massa

(Università Cattolica di Milano)

Foto | Flickr.it



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